Il farmacista e il cliente/paziente: limiti e responsabilità nella gestione del rapporto
Il farmacista e il cliente/paziente: limiti e responsabilità nella gestione del rapporto

Il farmacista e il cliente/paziente: limiti e responsabilità nella gestione del rapporto

La gestione del rapporto tra cliente e farmacista può andare in “crisi” nell'ipotesi in cui quest'ultimo venga messo nella condizione di dover vendere determinati farmaci finalizzati alla sedazione terminale

Negli ultimi anni abbiamo assistito a novità legislative che, unitamente alle contingenze fattuali del periodo che ci siamo appena lasciati alle spalle, hanno contribuito a rendere la farmacia il più importante presidio sanitario tra quelli presenti sul territorio.

Tale evoluzione ed accelerazione dei processi di cambiamento ha contribuito ad innalzare il grado di professionalità richiesta al farmacista nello svolgimento del proprio ruolo e l'affidamento che in lui ripone il paziente che vi si rivolge.

Infatti né la compressione del tempo di permanenza all'interno dell'esercizio fisico da parte dell'utente, né il carattere “virtuale” del rapporto che si instaura con lo stesso (es. acquisto di prodotti tramite strumenti telematici), possono esonerare il farmacista dagli adempimenti di natura professionale che gli sono prescritti dalle normative e dal codice deontologico, anche al fine di garantire al cliente/paziente una scelta consapevole e la sicurezza del servizio offerto.

La gestione del rapporto tra cliente e farmacista può inoltre andare in “crisi” nell'ipotesi in cui quest'ultimo venga messo nella condizione di dover vendere determinati farmaci finalizzati alla sedazione terminale o alla contraccezione d'urgenza (cc.dd. “pillola del giorno dopo” o “pillola dei cinque giorni dopo”).

È evidente che in tali circostanze possano sorgere contrasti ed esigenze di bilanciamento tra due distinti diritti: quello alla salute del paziente e quello al riconoscimento della libertà di coscienza e, quindi, al diritto all'obiezione da parte del farmacista; in particolare quest'ultimo, ad oggi riconosciuto ma non concretamente garantito per lacuna normativa, può essere definito come il diritto a non essere costretti ad agire contro i propri convincimenti interiori, etici e morali.

Infatti la Corte Costituzionale, in primis con la sentenza n. 467 del 1991, ha affermato che la protezione della coscienza individuale è strettamente connessa con la tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 della Carta Costituzionale e, in particolare, della libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici o della propria fede religiosa.


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